Nella Capitale bande di giovani "bene" e bulli di
periferia si sfidano
all'arma bianca. "Perché è meglio un processo di un funerale"
Quei ragazzi col
coltello
che spaventano Roma
di MASSIMO LUGLI
ROMA -
"Un vecchio cortello diceva a na spada/ ferisco e sbudello la gente
de strada/ er zangue che caccio da quelle ferite/ diventa
n'fattaccio, diventa na lite". Giorgio sorride mentre cita a memoria
Giuseppe Gioacchino Belli e contempla la lama snudata della sua "resolsa",
acciaio temprato a mano e corno di muflone, un oggetto da 180 euro
firmato da un rinomato artigiano sardo. Niente a che vedere con i
pugnali cinesi, i balisong da cinque euro comprati sulle bancarelle,
le mollette di Maniago o gli intramontabili coltelli da cucina che
stanno seminando morte e disperazione nelle strade romane. Due
omicidi in meno di un mese, un ragazzo in codice rosso dopo una lite
in discoteca e una serie interminabile di ferimenti. Solo ieri, un
albanese è stato accoltellato a Olevano Romano.
Un revival della "puncicata", antica tradizione della mala
capitolina che sembra rievocare i tempi dei grandi bulli romaneschi,
er "Tinea", er "Manciola", "Barbieretto", er "Baroncino" pronti a
sfidarsi all'ultimo sangue per un'occhiata storta o uno sgarbo nella
passatella. Altri tempi, riesumati da una protervia "vintage",
multietnica e sottoculturale, che ha spinto il sindaco Alemanno a
chiedere l'arresto in flagrante e pene più severe per quello che la
legge 110 del 1975 (firmata nel pieno degli anni di piombo, quando
fischiavano più pallottole che lame) definisce "porto abusivo di
oggetti atti a offendere" (una multa di circa 200 euro, in genere,
aggiusta tutto).
Li ama, i coltelli, Giorgio. Li ama e li conosce. Trentacinque anni,
buon lavoro ("Scrivi solo che sono nel ramo dell'arredamento") non
esce di casa senza il "saccagno" dalla prima adolescenza. Abitudine
di famiglia, padre abruzzese inurbato che a tavola apriva ancora il
suo "gobbo" di Loreto col manico consunto dall'uso. "Pratico knife
fighting occidentale, in passato ho fatto Escrima e Kali filippino,
so usare una lama come un professionista, ho studiato tutti i punti
vitali del corpo meglio di un dottore - si racconta Giorgio senza
compiacimenti - ma non sono quelli come me che combinano i casini
per strada. Per me è una passione, uno sport, come tirare con l'arco
o sparare a un bersaglio di carta".
Della tradizione occidentale di combattimento all'arma bianca,
Giorgio, con qualche amico fissato come lui, ha rispolverato
tradizioni polverose come la "zumpata" campana, la "pizzica"
pugliese (oggi diventata un ballo folcloristico), la terribile
scuola di Navaja spagnola o di forbici gitane per tosare le pecore e
il più recente metodo di combattimento degli Arditi. "Quelli delle
risse, quelli dei locali notturni non capiscono niente di tecnica e
neanche di armi... Comprano schifezze di latta sulle bancarelle dei
cinesi, taglierini e punteruoli dal ferramenta. Sono incompetenti e
pericolosi. Qualcuno è stato mio allievo ma hanno smesso subito:
niente costanza, niente disciplina. Li vuoi conoscere?". Andiamo.
Via dell'Archeologia, Tor Bella Monaca, borgata che riassume tutte
le contraddizioni possibili dei vecchi agglomerati di edilizia
popolare. Palazzoni minacciosi festonati di panni stesi a poche
centinaia di metri da bar e boutiques "Parioli style". Smart e
vecchie Mercedes da campo nomadi. Detenuti ai domiciliari che
spacciano eroina a casa e gente che esce alle 5 del mattino per
andare al lavoro. Yin e yang in continua dialettica, direbbe Lao Tzu.
Pasolini, oggi, avrebbe senz'altro una definizione più incisiva.
Da queste parti, comunque, Giorgio è ancora un mito: l'istruttore di
combattimento letale, il Maestro col suo bravo alone di
invulnerabilità. Chiama e arrivano. Ex allievi. Amici. Compagni di
stadio e di rissa. Comitiva. Dai 17 ai 21-22 anni, jeans sfilacciati
o aderentissimi, scarpe col mollone alla suola, giubbotto finto
Schott o piumotto senza maniche. Modi e mode che imitano i ragazzi
del Fleming, Prati e Parioli, affascinati, a loro volta, dalla
coatteria spavalda made in borgata. Saluti rispettosi al maestro,
sguardi sospettosi al cronista che dicono "e questo chi c...
sarebbe?". Ma si sciolgono subito.
"Vuoi vedere il taglino? Eccolo" Franco Pasciotti, 19 anni, non ha
paura di dire nome e cognome (veri? Falsi?) e tira fuori di tasca
con subitanea prontezza un serramanico con blocco a pompa e lama da
8 centimetri. Gli altri ridacchiano un po' imbarazzati, non ancora
pronti a scoprirsi davanti all'estraneo. "Lo porto sempre dietro, se
me lo dimentico torno a casa a prenderlo - spiega Franco,
trasportatore di mestiere, ultrà giallorosso quasi a tempo pieno -
vuoi sapere perché? Semplice: meglio un cattivo processo che un buon
funerale. I rumeni girano sempre accavallati e se gli prende brutto
non fanno a cazzotti: pungono o tagliano".
Gianfranco, un rosso lentigginoso dall'improbabile soprannome di "er
Colla" si fa coraggio ed estrae un balisong, un coltello ad ali di
farfalla che in alcuni Paesi è vietatissimo. "Costa 15 euro - spiega
facendo danzare manico e lama in virtuose evoluzioni circolari -
così se la vedo brutta e girano le guardie lo butto senza problemi.
Senza mi sento nudo". L'hai mai usato? Sguardi perplessi, Giorgio
che fa un impercettibile segno d'assenso: vi potete fidare. "Beh,
una volta... Ho litigato con uno str... in discoteca, faceva il
coatto con la donna mia. Ha cercato di darmi una bottigliata in
faccia, io ho aperto la lama e l'ho bucato alla coscia, vicino al
sedere. La faccia che ha fatto mentre cadeva... ".
La coltellata al gluteo o alla gamba è quanto di più vicino
all'antica tecnica della puncicata all'addome di inizio secolo,
sempre preceduta dalla minaccia rituale: "Ti metto le budella in
mano". K.O. istantaneo. Fa male ma, di solito, non uccide. Di
solito. Basta una lama troppo lunga o uno scarto di qualche
centimetro, l'arteria femorale tranciata ed è morte quasi certa.
"Nei locali gira di tutto, manca solo che scendono col ferro (la
pistola) - interviene un altro ragazzo che finora si è tenuto in
disparte - un mio amico buttafuori una volta è stato aggredito con
un'ascia, ti rendi conto? Poi ci sono gli africani, svelti di lama,
ti bucano che nemmeno te ne accorgi. E allora che fai? Bruce Lee".
Mima, tra le sghignazzate generali, qualche goffa movenza di kung fu
poi fa scattare la lama di una molletta da 12 centimetri, l'unico
coltello che il codice penale consideri un'arma a tutti gli effetti
("La sua naturale destinazione è l'offesa" ha chiosato la Cassazione
dopo una lunga e ponderosa diatriba).
Ma il ragazzo non si perde in disquisizioni legali: "Tanto, a scatto
o serramanico, se mi beccano mi denunciano e basta... E poi mi
piace, guarda quant'è bello". Cesare Pascarella ha dedicato al "saccagno"
un vero e proprio sonetto d'amore che inizia così: "Ar mio sopra la
lama c'he ritorta/ Cià stampata na lettera con fiore/ Me lo diede
Ninetta, che m'è morta/ Quando che me ce mèssi a fa l'amore...".
Conclusione: "E se la festa vado a fa bisboccia/Sibbè che c'abbi
tanti amichi accanto/ Er mej'amico mio ce l'ho in saccoccia".
Questi ragazzi, quasi certamente, non hanno mai
sentito parlare del poeta romanesco ma hanno con le loro lame un
rapporto quasi feticistico, le snudano, le accarezzano, le
coccolano, le rimirano. Come un'innamorata. Il coltello d'amore,
decorato a motivi d'argento in forma di occhio, del resto, era il
dono rituale alla fidanzata con l'ammonimento canonico: "Si nun me
voi più, spaccheme er core". La versione del terzo millennio è
brutalità idiota, ferocia insensata, aggressioni a tradimento con
cinque Ceres e tre Campari come carburante. "Che pena, che spreco,
così giovani e così imbecilli" depreca Giorgio che scuote la testa
mentre guida la Cinquecento rosso fiamma verso casa. Dal portachiavi
dondola una piccola, deliziosa scimitarra.
(
22 aprile 2009 )
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